venerdì 5 settembre 2014

La prima volta, come O



"Il posto sai dov'è, puoi anche venire da sola" Finiva così il suo sms. Oltre il giorno e l'ora, mi ha scritto di indossare una sottoveste nera e niente sotto, raccogliere i capelli in una coda morbida e bassa, entrare e inginocchiarmi con le mani dietro la schiena ad aspettarlo nel punto preciso dell'altra volta. Questa cosa del "punto preciso" m'inquieta.
Arrivo con un leggero anticipo, so che lui non c'è, ma non riesco a calmare il battito del mio cuore. Entro nella casa e mi guardo intorno, è la prima volta che lo faccio. Il posto è veramente diroccato e sporco, ci sono attrezzi ammucchiati un po' ovunque e un tavolo quadrato di legno in mezzo all'ambiente che non avevo notato prima. Il tetto però sembra integro perché non ci sono macchie di umido, non ci piove dentro.
Cerco il "punto preciso" e mi rendo conto che non lo trovo. Entro in ansia, so che è importante per lui, e giro e rigiro il mio sguardo per un indizio, qualcosa che possa fare da punto di riferimento. Non trovo niente. Il fiato si fa corto e il cuore mi batte ancora più forte. Respiro a bocca aperta, sento di non avere più molto tempo.
Un rumore fuori attira la mia attenzione. E' una portiera che si chiude. Lui è qui. Tolgo il cappotto e le scarpe, che getto di lato, e m'inginocchio come lui mi ha chiesto nel punto che mi sembra il più vicino al "punto preciso". Gli occhi a terra, i sassolini penetrano nella mia pelle, ma non mi muovo. Lui è entrato.
Sento i suoi passi che si avvicinano. Sento il suo sguardo che scruta e vàluta e m'ispeziona per accertarsi che ho fatto come lui mi ha ordinato e se l'ho fatto come lui voleva. Mette la sua mano dietro la mia nuca e, afferrandomi i capelli, dolcemente mi tira su. Io continuo a tenere la testa bassa e lui mi alza il mento per farsi guardare.
"Sei stata brava... hai fatto un solo errore..."

Prende i miei polsi e li tiene uniti con una mano. Mi tira e io lo seguo docilmente. Mi porta vicino a un trave da cui pende una catena con un gancio. Raccoglie qualcosa da terra e mi tira un po' più vicino a lui. Prende la mia nuca e mi bacia, a lungo. Un bacio che mi fa liquefare, ora lui ha il totale controllo del mio corpo, io sono senza peso. Mi spoglia e lega i miei polsi uniti con una spessa e larga fascia di cuoio munita di gancio. Mi alza le braccia e mi assicura alla catena che scende giù dal trave, i miei piedi toccano terra. Si sposta di fronte a me e di nuovo mi bacia prima con tenerezza, poi con sempre più insistenza fino ad afferrare la mia lingua e a succhiarla quasi a farmi soffocare. Si stacca repentino e si mette alle mie spalle. Improvvisamente, sento un sibilo nell'aria e un dolore lancinante dietro la schiena che mi fa urlare forte.
"Un solo errore, schiava, ma deve essere punito."
La seconda frustata mi fa urlare di nuovo. Poi la terza e già mi sento svenire.
"Eseguire i miei ordini con precisione deve diventare la tua priorità!"
La quarta, non riesco a respirare. La quinta.
"Ti prego, basta" ho un filo di voce, ma lui mi sente. Si avvicina al mio orecchio.
"Basta cosa."
"Non frustarmi più, ti prego!"
"Ti prego cosa."
"Ti prego!"
"Stai facendo un altro errore. Molto grave. Chi sei tu?"
Non rispondo, sono confusa. Mi afferra per i capelli tirandomi indietro la testa.
"Tu sei la mia schiava e io sono il tuo Padrone. Se vuoi supplicarmi, devi farlo come si deve."
Mi lascia e si mette di nuovo dietro di me. Fa schioccare la frusta nell'aria.
"Devo punirti ancora."
La frustata arriva repentina. Urlo e piango e lo supplico, chiamandolo mio Padrone, mio Signore, ma lui non smette. Mi frusta altre cinque volte.

Mi slega e mi raccoglie tra le sue braccia. Non ho la forza di stare in piedi. Mi porta come una bambina e io affondo il mio viso nel suo petto, piangendo tutto il dolore che ho appena provato e lo scotto di averlo deluso.
Mi fa scendere e mi adagia prona sopra il tavolo, con le braccia in alto. Aggancia al tavolo il polsino che tiene uniti i miei polsi. Mi allarga le gambe, aprendole molto. Tutta la mia intimità è esposta alla sua vista. Si china su di me. La sua voce profonda e roca mi invade l'orecchio.
"Sei mai stata sodomizzata?"
Scuoto la testa in segno di diniego. Si allontana e lo sento grugnire per la frustrazione. Torna di nuovo vicino.
"Va bene, tesoro, non fa niente. Faremo piano piano..."
Io ricomincio a piangere.
"Non devi piangere. Non ti farò ancora male. Ti ho già punita e ora voglio solo darti piacere."
Si stacca e inizia a massaggiarmi lentamente le natiche. Movimenti circolari sempre più ampi che dilatano le mie aperture. Con estrema delicatezza, m'infila un dito nell'ano, sempre più a fondo, disegnando dei piccoli cerchi mentre entra. Ho delle sensazioni contrastanti, fastidio ma anche piacere, mi rilasso e istintivamente mi dilato. Mentre mi perdo in questa nuova sensazione, sento il suo pene duro che si insinua nella mia vagina. Entra piano, centimetro dopo centimetro, fermandosi spesso per assaporare tutte le mie contrazioni, il mio calore, il mio lago. Provo un piacere immenso, la pelle della schiena non mi fa più male. Tutto il dolore fisico e mentale è sparito. La mia testa è piena solo delle sensazioni di questo orgasmo lento, lungo e intenso che sto provando. Godo con un'intensità che mi spossa e lui mi riempie con il suo seme completamente.

Mi sono addormentata, in quella posizione prona sul tavolo di legno, il seno schiacciato, le braccia bloccate e indolenzite. Sento un gran sollievo alla schiena e mi accorgo che il mio Padrone sta curando le mie ferite, con tenerezza infinita. Si accorge che mi sono svegliata, mi slega e mi aiuta ad alzarmi. Mi abbraccia e mi bacia con dolcezza. Mi sorregge e mi aiuta a raccogliere e indossare scarpe e cappotto. Mi accompagna all'auto e mi aiuta a salire.
"Io voglio sul serio che tu diventi la mia schiava perfetta."
"Sì, mio Padrone."

giovedì 3 luglio 2014

La seconda volta

La seconda volta di Pulcina70:



Mi ero ripromessa di non incontrarlo mai più. Dopo quello che era successo nella casa diroccata, tutte le sevizie che avevo subito... ma anche l'eccitazione che la paura di lui mi aveva dato e il godimento di averlo dentro di me e il modo in cui lui si era preso cura di me, dopo... Non avevo fatto altro che pensarci, da quel giorno, alternando sensazioni ed emozioni contrastanti.
  Ora sono in questo parcheggio che lo aspetto. Mi ha inviato un semplice sms, con una data, un luogo e un orario: non gli ho risposto e lui non ha insistito. Forse era sicuro che mi sarei presentata. Infatti sono qui. Arriva col suo furgoncino scassato e si parcheggia vicino alla mia auto. Fa scattare la serratura dello sportello e lo apre. Non dice nulla, ma mi guarda e mi sorride. Sembra un bambino che ha visto una caramella gigante. Io non sorrido, non ci riesco. Sento le gambe molli che, mio malgrado, si muovono. Salgo, partiamo.
  Di nuovo il rito della sigaretta. Non so se è una mia impressione, ma la sua voce che mi chiede di accenderla e passarla mi sembra più autoritaria dell'altra volta. Come se mi avesse dato un ordine. Guida veloce e silenzioso. Riconosco subito la strada. Stiamo tornando nello stesso posto. Mi sento rigida, non riesco a rilassarmi e continuo a chiedermi perché ho deciso di venire al suo appuntamento.
  Appena arrivati lui scende dall'auto e apre la mia portiera. Io non mi muovo. Con un gesto deciso mi prende per il braccio e mi fa scendere. Il suo sguardo è già diverso e io ho paura. Mi trascina dentro stringendo forte il mio braccio, che inizia a dolere. Con un gesto ampio, mi spinge e io cado seduta in terra.
  Lui resta in piedi davanti a me, con le gambe leggermente divaricate, è immobile. Ho il cuore che batte fortissimo e il fiato corto, so che mi sta guardando, ma io tengo gli occhi bassi, non oso guardarlo, ho il terrore di incontrare il suo sguardo sadico. Mi afferra i capelli e mi fa muovere finché non sono in ginocchio davanti a lui, il mio viso all'altezza del suo inguine.
  Lascia la presa dai miei capelli e si sposta, dopo avermi ordinato di non muovermi. Io però non riesco, il terriccio sotto le mie ginocchia me le fa dolere e cerco di mettermi in una posizione meno scomoda.
  Con due falcate è di nuovo su di me, mi afferra per i capelli e mi trascina fino alla parete della stanza, continua a ripetere che me lo aveva detto che non dovevo muovermi. Mi tira su di peso, mi rendo conto di non avere più controllo del mio corpo, che lui muove a suo piacimento, con facilità, come se non pesassi nulla.
  Mi fa poggiare le mani sulla parete, le braccia tese: il mio corpo è piegato a novanta gradi. Mi toglie i pantaloni e tira su i bordi delle mutande, in modo da scoprire le natiche. Senza avere il tempo di capire, comincia a colpirmi con le mani nude. I suoi schiaffi pesanti mi fanno urlare. Sento la pelle che inizia a bruciare. Mi colpisce, cinque, sette, dieci volte. Si ferma e io non oso più muovermi. Si è di nuovo allontanato. Ho le guance rigate di lacrime.
  Mi afferra di nuovo per i capelli, questa volta però cammino con le mie gambe, inciampando nei pantaloni incastrati alle caviglie, ma non cado. Mi riporta nello stesso punto di prima, e mi fa inginocchiare di nuovo e questa volta sento i sassolini del terriccio che penetrano la pelle delle mie ginocchia, ma ormai ho capito che è meglio non muoversi.
  Mi ordina di slacciargli i pantaloni e di tirare fuori il suo sesso, che è duro e pulsante. Si china su di me, mi prende i polsi e me li lega dietro la schiena. Sento il suo pene poggiare sulla spalla e lo sento caldo attraverso la maglia. Si tira su, con una mano mi prende per i capelli e con l'altra preme sulle mie guance per farmi aprire la bocca. Guida la mia testa alla sua erezione che infila dentro la mia bocca. Comincia a muovermi e a muoversi, sento il suo sapore forte, il suo odore di resina. Il suo pene enorme mi arriva fino in gola, a stento trattengo dei conati, mi sento soffocare.
  Lui non smette, aumenta il ritmo per il suo piacere, che è il suo unico scopo, mi sta usando, consapevolmente, sta usando il mio corpo per la sua voglia. Capisco che è inutile fare resistenza, mi dolgono i muscoli del collo e la mascella, ho problemi a respirare, un rivolo di saliva mi scende lungo il mento, allora comincio ad assecondarlo, ascolto il suo ritmo e mi muovo alla velocità che m'impongono le sue mani. Dopo lunghi e interminabili minuti, sento che gode e il suo liquido invade la mia gola.
  Si allontana di nuovo, io mi accascio a terra, in posizione fetale. Lui si avvicina, si stende vicino a me e mi avvolge con il suo corpo tutto, mi contiene. Mi riprometto di non piangere, questa tenerezza mi fa più male delle sculacciate.
  Lentamente, la sua mano comincia ad accarezzare le mie gambe ancora nude, prima all'esterno e poi all'interno, sempre più in alto, sempre più insistentemente. Carezze pesanti che si insinuano tra le mie gambe, sotto le mutande. Con le dita afferra il mio clitoride e comincia a masturbarmi con movimenti circolari che velocizza man mano che i miei gemiti aumentano. Infila poi due dita nella vagina fradicia con l'altra mano e mi fa godere come mai ho goduto nella mia vita. E mentre godo mi dice "voglio che sei mia per sempre".
  Restiamo a lungo sdraiati, tanto da intorpidirci.
  Mi spiega, con la sua voce profonda e roca, cosa vuole da me: mi vuole fare la sua schiava, vuole che io obbedisca a tutti i suoi ordini e non solo sessuali, vuole che io sia devota a lui e solo a lui per sempre. In cambio lui mi proteggerà, mi darà sicurezza, si prenderà cura di me per sempre. Se deciderò di farlo, di sottomettermi a lui, di accettarlo come mio Padrone, basterà che mi presenti al prossimo appuntamento. Io non ho parole da dire, ma ascolto le sue con avidità: mi affascina, nonostante il dolore che ho provato, e forse anche per quello.

venerdì 27 giugno 2014

La prima e l'ultima volta







Un racconto di Pulcina70

Siamo seduti vicini davanti al computer. Io manovro il mouse e la tastiera, lui siede accanto a me. Stiamo navigando su internet alla ricerca delle informazioni che gli servono.
Sento che si avvicina sempre di più, la sua spalla sinistra sfiora la mia spalla destra. Poi appoggia la sua mano sul mio ginocchio, una presa leggera, per testare la mia reazione.
Io non reagisco, continuo a fare quello che sto facendo. Lui appesantisce la mano. Con lentezza muove le dita a salire verso la mia coscia. Ho un brivido che altera il tono con cui sto parlando, ma non dico niente e non faccio niente per fermarlo. La sua mano sale sempre di più e scivola nella parte interna della coscia. Io giro la testa verso di lui, lui si gira a guardarmi: i suoi occhi sono torbidi di desiderio.
Toglie la mano e la porta sopra la mia, quella che tiene il mouse. La prende con delicatezza e la porta sotto la scrivania, la guida fino al cavallo dei suoi pantaloni, la poggia sopra e la spinge. Sento la sua erezione che cresce sotto la mia mano.
La muove piano, continuiamo a guardarci, i respiri leggermente alterati.
"Abbiamo bisogno di un altro posto per fare questo tipo di ricerche", non riconosco la mia voce che dice una cosa del genere.
Lui sorride, mi lascia la mano, che faccio riemergere sopra la scrivania.
Usciamo, in silenzio e ci avviamo verso la sua macchina. Sale e mi apre lo sportello, salgo anche io. Avvia il motore e parte, non oso chiedergli dove ha intenzione di andare.
Prende la statale, "Mi accendi una sigaretta?" lo faccio e gliela porgo, poi ne accendo una anche per me.
Superiamo il semaforo dell'autostrada e lui continua. All'altezza della rotatoria del centro commerciale, imbocca la strada verso il mare. Entra in un sentiero sterrato e poi si ferma vicino a un casale abbandonato in mezzo a una grande distesa di terra incolta. Spegne il motore e scende, lo seguo. Allunga la mano per prendere la mia e mi porta dentro il casale.
L'interno è buio e abbandonato, i muri sono scrostati, il pavimento, rotto in più punti, è pieno di terra, la sento sotto le scarpe.
Si gira e mi guarda, lo stesso sguardo di prima, torbido, gli occhi stretti, la bocca leggermente aperta come se facesse fatica a respirare. Mi tira a sé, mi circonda la vita con le braccia, si china e mi bacia.
Subito cerca la mia lingua, mi bacia con foga, come se dovesse finire tutto in un attimo, come se fosse l'ultima cosa che potrà fare, l'unica possibilità. Io lo assecondo: gli concedo la mia bocca, pronta a concedergli tutto quello che vorrà, sono totalmente persa.
Mi toglie il cappotto, mi sfila il maglione e poggia le mani sui miei seni sopra al reggiseno. Stringe con forza. Con il dito fa uscire prima uno e poi l'altro dei miei seni dalle coppe del reggiseno, si allontana di un passo per guardarmi.
Io resto immobile, inerme, aspetto che faccia quello che vuole. Si china e tira giù la cerniera degli stivali, piega una gamba per togliermene uno, poi l'altra. Sale con le mani fino a trovare la chiusura dei pantaloni, li slaccia e li tira giù. Mi muovo per toglierli, lui mi aiuta.
Sono in piedi, di fronte a lui, in reggiseno e mutande, i seni fuori dalle coppe e lui mi guarda, i suoi occhi sono come infuocati.
Prende le mie mani, le unisce e mi afferra i polsi con una sola mano; mi tira e mi trascina vicino al muro. Alza le mie braccia e mi lega i polsi a una corda che pende da un trave del soffitto. I miei piedi sono ancora poggiati a terra. Si sposta per contemplarmi di nuovo e sul suo viso affiora un sorriso che mai gli ho visto, un sorriso soddisfatto, cinico, sadico. Il mio cuore comincia ad accelerare i battiti.
Si toglie la giacca, la felpa e la maglietta, rimanendo a torso nudo. Contemplo il suo torace scolpito, dispiaciuta di non poterlo toccare.
Si avvicina e mi bacia. "Questo non lo dimenticherai mai."
Con la mano aperta mi carezza il collo, scendendo verso i seni, il ventre, il monte di Venere, le cosce, le gambe, i piedi. Mi sfila i calzini. Risale con i polpastrelli dal piede fino a tornare al collo. Fa questo cinque, dieci volte. Comincio ad ansimare, voglio di più e lui lo sa e farmi aspettare gli piace.
Afferra i seni con le mani e stringe, sempre più forte, io gemo sempre più forte fino a urlare, persa tra il dolore e il piacere.
Si stacca da me e si allontana, vedo che è andato di lato e si è chinato a terra. Non riesco a parlare, a chiedergli niente. Si rialza e torna verso di me. In mano ha qualcosa che non riesco a capire. Quando è vicino mi rendo conto che ha preso una corda, di quelle spesse, da imbarcazione.
Con un filo di voce gli chiedo "Cosa vuoi fare?"
Non mi risponde, ma mi guarda e di nuovo mi sorride in quel modo che mi fa paura. Alza il braccio e sferra un colpo secco sui miei seni, imprigionati nelle coppe del reggiseno, scoperti e fermi, bersaglio facile da colpire.
Urlo, il dolore è forte. Sferra un altro colpo. Urlo ancora. Di nuovo mi colpisce e si ferma come ad ascoltare l'eco del mio urlo che si smorza dentro la stanza. Poi, una serie di frustate di seguito, una dietro l'altra, senza neanche avere il tempo di respirare. Il dolore è forte, le mie urla mi riempiono le orecchie.
Si ferma, ansimante, l'espressione soddisfatta. I seni mi bruciano, mi sento quasi svenire. Si avvicina e mi accarezza, coccola i miei seni arrossati per i colpi ricevuti. Li lecca, prende in bocca i capezzoli e li stuzzica con la lingua.
Con una mano mi carezza le cosce in circolo, poi alza l'orlo delle mutande fino a scoprire le natiche. Si stacca di colpo e con la corda mi frusta le natiche e le cosce. Di nuovo le mie urla riempiono la stanza.
Si ferma e mi guarda ancora. Io sono stravolta, ho le guance striate di lacrime, il respiro affannato, gli occhi sbarrati dalla paura.
Lui sembra soddisfatto di quello che vede, si lecca il labbro superiore. Si avvicina, mi prende i capelli e li tira fino a farmi piegare la testa.
Mi lecca il collo, si avvicina all'orecchio: "Questo è solo l'inizio. Mi piace il suono della tua voce quando ti faccio male."
Mi leva le mutande con un movimento secco e violento, poi prende una caviglia e la lega ad un'altra corda legata a sua volta a un peso di piombo e così fa anche con l'altra caviglia.
Mi ritrovo appesa, con le gambe divaricate e nuda.
Piega la corda che aveva già usato per farla più piccola e inizia a colpire il pube davanti, cambiando poi direzione per frustare direttamente la mia vagina, con velocità. Il dolore è tale che perdo i sensi.
Mi sta bagnando con dell'acqua, quando rinvengo. "Perché?"
"Non c'è un perché. E' così e basta. Da quando ti ho conosciuta ho avuto solo voglia di torturarti, di sentire le tue urla di dolore. Ora che sei sveglia, ti scopo. Sono veramente arrapato."
Senza darmi il tempo di replicare, afferra le mie gambe e mi penetra, a fondo.
Mio malgrado sono bagnata e il suo pene eretto è molto grande, lo sento molto dentro di me. Inizia con movimenti lenti, affondi lunghi, poi aumenta il ritmo, sempre più veloce.
Non sento più il dolore, anche se la vagina mi brucia per le ferite.
I suoi movimenti mi riempiono completamente, la velocità stimola i miei sensi, lo assecondo con il bacino e alla fine godiamo insieme.
Lui resta dentro, gli ultimi spasmi, mi accarezza la testa, mi bacia il collo con delicatezza.
"Ora ti slego." Esce da me e si stacca, mi sento svuotata, il mio corpo brucia, non solo per le frustate.
Mi slega le caviglie e poi i polsi. Io non riesco a tenermi in piedi e lui mi sorregge, abbracciandomi, mi contiene. E' tenero, dolce, non sembra lo stesso uomo che poco prima mi frustava, sadico.
Mi aiuta a vestirmi, io non ho la volontà di fare nulla, dipendo completamente da lui.
"Stai bene? Ce la fai a tornare a casa? "
Annuisco. Non so dove è finita la mia voce.
Seduti sulla sua macchina, sulla via del ritorno, mi dice "Immagino che questa sarà la prima e l'ultima volta."
Mi giro a guardarlo, mentre guida con calma, lui si gira per qualche secondo verso di me, il tempo di vedermi annuire di nuovo.


Pulcina 70