venerdì 27 giugno 2014

La prima e l'ultima volta







Un racconto di Pulcina70

Siamo seduti vicini davanti al computer. Io manovro il mouse e la tastiera, lui siede accanto a me. Stiamo navigando su internet alla ricerca delle informazioni che gli servono.
Sento che si avvicina sempre di più, la sua spalla sinistra sfiora la mia spalla destra. Poi appoggia la sua mano sul mio ginocchio, una presa leggera, per testare la mia reazione.
Io non reagisco, continuo a fare quello che sto facendo. Lui appesantisce la mano. Con lentezza muove le dita a salire verso la mia coscia. Ho un brivido che altera il tono con cui sto parlando, ma non dico niente e non faccio niente per fermarlo. La sua mano sale sempre di più e scivola nella parte interna della coscia. Io giro la testa verso di lui, lui si gira a guardarmi: i suoi occhi sono torbidi di desiderio.
Toglie la mano e la porta sopra la mia, quella che tiene il mouse. La prende con delicatezza e la porta sotto la scrivania, la guida fino al cavallo dei suoi pantaloni, la poggia sopra e la spinge. Sento la sua erezione che cresce sotto la mia mano.
La muove piano, continuiamo a guardarci, i respiri leggermente alterati.
"Abbiamo bisogno di un altro posto per fare questo tipo di ricerche", non riconosco la mia voce che dice una cosa del genere.
Lui sorride, mi lascia la mano, che faccio riemergere sopra la scrivania.
Usciamo, in silenzio e ci avviamo verso la sua macchina. Sale e mi apre lo sportello, salgo anche io. Avvia il motore e parte, non oso chiedergli dove ha intenzione di andare.
Prende la statale, "Mi accendi una sigaretta?" lo faccio e gliela porgo, poi ne accendo una anche per me.
Superiamo il semaforo dell'autostrada e lui continua. All'altezza della rotatoria del centro commerciale, imbocca la strada verso il mare. Entra in un sentiero sterrato e poi si ferma vicino a un casale abbandonato in mezzo a una grande distesa di terra incolta. Spegne il motore e scende, lo seguo. Allunga la mano per prendere la mia e mi porta dentro il casale.
L'interno è buio e abbandonato, i muri sono scrostati, il pavimento, rotto in più punti, è pieno di terra, la sento sotto le scarpe.
Si gira e mi guarda, lo stesso sguardo di prima, torbido, gli occhi stretti, la bocca leggermente aperta come se facesse fatica a respirare. Mi tira a sé, mi circonda la vita con le braccia, si china e mi bacia.
Subito cerca la mia lingua, mi bacia con foga, come se dovesse finire tutto in un attimo, come se fosse l'ultima cosa che potrà fare, l'unica possibilità. Io lo assecondo: gli concedo la mia bocca, pronta a concedergli tutto quello che vorrà, sono totalmente persa.
Mi toglie il cappotto, mi sfila il maglione e poggia le mani sui miei seni sopra al reggiseno. Stringe con forza. Con il dito fa uscire prima uno e poi l'altro dei miei seni dalle coppe del reggiseno, si allontana di un passo per guardarmi.
Io resto immobile, inerme, aspetto che faccia quello che vuole. Si china e tira giù la cerniera degli stivali, piega una gamba per togliermene uno, poi l'altra. Sale con le mani fino a trovare la chiusura dei pantaloni, li slaccia e li tira giù. Mi muovo per toglierli, lui mi aiuta.
Sono in piedi, di fronte a lui, in reggiseno e mutande, i seni fuori dalle coppe e lui mi guarda, i suoi occhi sono come infuocati.
Prende le mie mani, le unisce e mi afferra i polsi con una sola mano; mi tira e mi trascina vicino al muro. Alza le mie braccia e mi lega i polsi a una corda che pende da un trave del soffitto. I miei piedi sono ancora poggiati a terra. Si sposta per contemplarmi di nuovo e sul suo viso affiora un sorriso che mai gli ho visto, un sorriso soddisfatto, cinico, sadico. Il mio cuore comincia ad accelerare i battiti.
Si toglie la giacca, la felpa e la maglietta, rimanendo a torso nudo. Contemplo il suo torace scolpito, dispiaciuta di non poterlo toccare.
Si avvicina e mi bacia. "Questo non lo dimenticherai mai."
Con la mano aperta mi carezza il collo, scendendo verso i seni, il ventre, il monte di Venere, le cosce, le gambe, i piedi. Mi sfila i calzini. Risale con i polpastrelli dal piede fino a tornare al collo. Fa questo cinque, dieci volte. Comincio ad ansimare, voglio di più e lui lo sa e farmi aspettare gli piace.
Afferra i seni con le mani e stringe, sempre più forte, io gemo sempre più forte fino a urlare, persa tra il dolore e il piacere.
Si stacca da me e si allontana, vedo che è andato di lato e si è chinato a terra. Non riesco a parlare, a chiedergli niente. Si rialza e torna verso di me. In mano ha qualcosa che non riesco a capire. Quando è vicino mi rendo conto che ha preso una corda, di quelle spesse, da imbarcazione.
Con un filo di voce gli chiedo "Cosa vuoi fare?"
Non mi risponde, ma mi guarda e di nuovo mi sorride in quel modo che mi fa paura. Alza il braccio e sferra un colpo secco sui miei seni, imprigionati nelle coppe del reggiseno, scoperti e fermi, bersaglio facile da colpire.
Urlo, il dolore è forte. Sferra un altro colpo. Urlo ancora. Di nuovo mi colpisce e si ferma come ad ascoltare l'eco del mio urlo che si smorza dentro la stanza. Poi, una serie di frustate di seguito, una dietro l'altra, senza neanche avere il tempo di respirare. Il dolore è forte, le mie urla mi riempiono le orecchie.
Si ferma, ansimante, l'espressione soddisfatta. I seni mi bruciano, mi sento quasi svenire. Si avvicina e mi accarezza, coccola i miei seni arrossati per i colpi ricevuti. Li lecca, prende in bocca i capezzoli e li stuzzica con la lingua.
Con una mano mi carezza le cosce in circolo, poi alza l'orlo delle mutande fino a scoprire le natiche. Si stacca di colpo e con la corda mi frusta le natiche e le cosce. Di nuovo le mie urla riempiono la stanza.
Si ferma e mi guarda ancora. Io sono stravolta, ho le guance striate di lacrime, il respiro affannato, gli occhi sbarrati dalla paura.
Lui sembra soddisfatto di quello che vede, si lecca il labbro superiore. Si avvicina, mi prende i capelli e li tira fino a farmi piegare la testa.
Mi lecca il collo, si avvicina all'orecchio: "Questo è solo l'inizio. Mi piace il suono della tua voce quando ti faccio male."
Mi leva le mutande con un movimento secco e violento, poi prende una caviglia e la lega ad un'altra corda legata a sua volta a un peso di piombo e così fa anche con l'altra caviglia.
Mi ritrovo appesa, con le gambe divaricate e nuda.
Piega la corda che aveva già usato per farla più piccola e inizia a colpire il pube davanti, cambiando poi direzione per frustare direttamente la mia vagina, con velocità. Il dolore è tale che perdo i sensi.
Mi sta bagnando con dell'acqua, quando rinvengo. "Perché?"
"Non c'è un perché. E' così e basta. Da quando ti ho conosciuta ho avuto solo voglia di torturarti, di sentire le tue urla di dolore. Ora che sei sveglia, ti scopo. Sono veramente arrapato."
Senza darmi il tempo di replicare, afferra le mie gambe e mi penetra, a fondo.
Mio malgrado sono bagnata e il suo pene eretto è molto grande, lo sento molto dentro di me. Inizia con movimenti lenti, affondi lunghi, poi aumenta il ritmo, sempre più veloce.
Non sento più il dolore, anche se la vagina mi brucia per le ferite.
I suoi movimenti mi riempiono completamente, la velocità stimola i miei sensi, lo assecondo con il bacino e alla fine godiamo insieme.
Lui resta dentro, gli ultimi spasmi, mi accarezza la testa, mi bacia il collo con delicatezza.
"Ora ti slego." Esce da me e si stacca, mi sento svuotata, il mio corpo brucia, non solo per le frustate.
Mi slega le caviglie e poi i polsi. Io non riesco a tenermi in piedi e lui mi sorregge, abbracciandomi, mi contiene. E' tenero, dolce, non sembra lo stesso uomo che poco prima mi frustava, sadico.
Mi aiuta a vestirmi, io non ho la volontà di fare nulla, dipendo completamente da lui.
"Stai bene? Ce la fai a tornare a casa? "
Annuisco. Non so dove è finita la mia voce.
Seduti sulla sua macchina, sulla via del ritorno, mi dice "Immagino che questa sarà la prima e l'ultima volta."
Mi giro a guardarlo, mentre guida con calma, lui si gira per qualche secondo verso di me, il tempo di vedermi annuire di nuovo.


Pulcina 70