Oltre il delta di Venere
A volte solo immagini, a volte anche parole ... un viaggio verso il lato estremo del sesso (un blog collettivo, dedicato a donne adulte, consapevoli e … molto, molto perverse ... ;-)
venerdì 5 settembre 2014
La prima volta, come O
"Il posto sai dov'è, puoi anche venire da sola" Finiva così il suo sms. Oltre il giorno e l'ora, mi ha scritto di indossare una sottoveste nera e niente sotto, raccogliere i capelli in una coda morbida e bassa, entrare e inginocchiarmi con le mani dietro la schiena ad aspettarlo nel punto preciso dell'altra volta. Questa cosa del "punto preciso" m'inquieta.
Arrivo con un leggero anticipo, so che lui non c'è, ma non riesco a calmare il battito del mio cuore. Entro nella casa e mi guardo intorno, è la prima volta che lo faccio. Il posto è veramente diroccato e sporco, ci sono attrezzi ammucchiati un po' ovunque e un tavolo quadrato di legno in mezzo all'ambiente che non avevo notato prima. Il tetto però sembra integro perché non ci sono macchie di umido, non ci piove dentro.
Cerco il "punto preciso" e mi rendo conto che non lo trovo. Entro in ansia, so che è importante per lui, e giro e rigiro il mio sguardo per un indizio, qualcosa che possa fare da punto di riferimento. Non trovo niente. Il fiato si fa corto e il cuore mi batte ancora più forte. Respiro a bocca aperta, sento di non avere più molto tempo.
Un rumore fuori attira la mia attenzione. E' una portiera che si chiude. Lui è qui. Tolgo il cappotto e le scarpe, che getto di lato, e m'inginocchio come lui mi ha chiesto nel punto che mi sembra il più vicino al "punto preciso". Gli occhi a terra, i sassolini penetrano nella mia pelle, ma non mi muovo. Lui è entrato.
Sento i suoi passi che si avvicinano. Sento il suo sguardo che scruta e vàluta e m'ispeziona per accertarsi che ho fatto come lui mi ha ordinato e se l'ho fatto come lui voleva. Mette la sua mano dietro la mia nuca e, afferrandomi i capelli, dolcemente mi tira su. Io continuo a tenere la testa bassa e lui mi alza il mento per farsi guardare.
"Sei stata brava... hai fatto un solo errore..."
Prende i miei polsi e li tiene uniti con una mano. Mi tira e io lo seguo docilmente. Mi porta vicino a un trave da cui pende una catena con un gancio. Raccoglie qualcosa da terra e mi tira un po' più vicino a lui. Prende la mia nuca e mi bacia, a lungo. Un bacio che mi fa liquefare, ora lui ha il totale controllo del mio corpo, io sono senza peso. Mi spoglia e lega i miei polsi uniti con una spessa e larga fascia di cuoio munita di gancio. Mi alza le braccia e mi assicura alla catena che scende giù dal trave, i miei piedi toccano terra. Si sposta di fronte a me e di nuovo mi bacia prima con tenerezza, poi con sempre più insistenza fino ad afferrare la mia lingua e a succhiarla quasi a farmi soffocare. Si stacca repentino e si mette alle mie spalle. Improvvisamente, sento un sibilo nell'aria e un dolore lancinante dietro la schiena che mi fa urlare forte.
"Un solo errore, schiava, ma deve essere punito."
La seconda frustata mi fa urlare di nuovo. Poi la terza e già mi sento svenire.
"Eseguire i miei ordini con precisione deve diventare la tua priorità!"
La quarta, non riesco a respirare. La quinta.
"Ti prego, basta" ho un filo di voce, ma lui mi sente. Si avvicina al mio orecchio.
"Basta cosa."
"Non frustarmi più, ti prego!"
"Ti prego cosa."
"Ti prego!"
"Stai facendo un altro errore. Molto grave. Chi sei tu?"
Non rispondo, sono confusa. Mi afferra per i capelli tirandomi indietro la testa.
"Tu sei la mia schiava e io sono il tuo Padrone. Se vuoi supplicarmi, devi farlo come si deve."
Mi lascia e si mette di nuovo dietro di me. Fa schioccare la frusta nell'aria.
"Devo punirti ancora."
La frustata arriva repentina. Urlo e piango e lo supplico, chiamandolo mio Padrone, mio Signore, ma lui non smette. Mi frusta altre cinque volte.
Mi slega e mi raccoglie tra le sue braccia. Non ho la forza di stare in piedi. Mi porta come una bambina e io affondo il mio viso nel suo petto, piangendo tutto il dolore che ho appena provato e lo scotto di averlo deluso.
Mi fa scendere e mi adagia prona sopra il tavolo, con le braccia in alto. Aggancia al tavolo il polsino che tiene uniti i miei polsi. Mi allarga le gambe, aprendole molto. Tutta la mia intimità è esposta alla sua vista. Si china su di me. La sua voce profonda e roca mi invade l'orecchio.
"Sei mai stata sodomizzata?"
Scuoto la testa in segno di diniego. Si allontana e lo sento grugnire per la frustrazione. Torna di nuovo vicino.
"Va bene, tesoro, non fa niente. Faremo piano piano..."
Io ricomincio a piangere.
"Non devi piangere. Non ti farò ancora male. Ti ho già punita e ora voglio solo darti piacere."
Si stacca e inizia a massaggiarmi lentamente le natiche. Movimenti circolari sempre più ampi che dilatano le mie aperture. Con estrema delicatezza, m'infila un dito nell'ano, sempre più a fondo, disegnando dei piccoli cerchi mentre entra. Ho delle sensazioni contrastanti, fastidio ma anche piacere, mi rilasso e istintivamente mi dilato. Mentre mi perdo in questa nuova sensazione, sento il suo pene duro che si insinua nella mia vagina. Entra piano, centimetro dopo centimetro, fermandosi spesso per assaporare tutte le mie contrazioni, il mio calore, il mio lago. Provo un piacere immenso, la pelle della schiena non mi fa più male. Tutto il dolore fisico e mentale è sparito. La mia testa è piena solo delle sensazioni di questo orgasmo lento, lungo e intenso che sto provando. Godo con un'intensità che mi spossa e lui mi riempie con il suo seme completamente.
Mi sono addormentata, in quella posizione prona sul tavolo di legno, il seno schiacciato, le braccia bloccate e indolenzite. Sento un gran sollievo alla schiena e mi accorgo che il mio Padrone sta curando le mie ferite, con tenerezza infinita. Si accorge che mi sono svegliata, mi slega e mi aiuta ad alzarmi. Mi abbraccia e mi bacia con dolcezza. Mi sorregge e mi aiuta a raccogliere e indossare scarpe e cappotto. Mi accompagna all'auto e mi aiuta a salire.
"Io voglio sul serio che tu diventi la mia schiava perfetta."
"Sì, mio Padrone."
giovedì 3 luglio 2014
La seconda volta
La seconda volta di Pulcina70:
Mi ero ripromessa di non incontrarlo mai più. Dopo quello che era successo nella casa diroccata, tutte le sevizie che avevo subito... ma anche l'eccitazione che la paura di lui mi aveva dato e il godimento di averlo dentro di me e il modo in cui lui si era preso cura di me, dopo... Non avevo fatto altro che pensarci, da quel giorno, alternando sensazioni ed emozioni contrastanti.
Ora sono in questo parcheggio che lo aspetto. Mi ha inviato un semplice sms, con una data, un luogo e un orario: non gli ho risposto e lui non ha insistito. Forse era sicuro che mi sarei presentata. Infatti sono qui. Arriva col suo furgoncino scassato e si parcheggia vicino alla mia auto. Fa scattare la serratura dello sportello e lo apre. Non dice nulla, ma mi guarda e mi sorride. Sembra un bambino che ha visto una caramella gigante. Io non sorrido, non ci riesco. Sento le gambe molli che, mio malgrado, si muovono. Salgo, partiamo.
Di nuovo il rito della sigaretta. Non so se è una mia impressione, ma la sua voce che mi chiede di accenderla e passarla mi sembra più autoritaria dell'altra volta. Come se mi avesse dato un ordine. Guida veloce e silenzioso. Riconosco subito la strada. Stiamo tornando nello stesso posto. Mi sento rigida, non riesco a rilassarmi e continuo a chiedermi perché ho deciso di venire al suo appuntamento.
Appena arrivati lui scende dall'auto e apre la mia portiera. Io non mi muovo. Con un gesto deciso mi prende per il braccio e mi fa scendere. Il suo sguardo è già diverso e io ho paura. Mi trascina dentro stringendo forte il mio braccio, che inizia a dolere. Con un gesto ampio, mi spinge e io cado seduta in terra.
Lui resta in piedi davanti a me, con le gambe leggermente divaricate, è immobile. Ho il cuore che batte fortissimo e il fiato corto, so che mi sta guardando, ma io tengo gli occhi bassi, non oso guardarlo, ho il terrore di incontrare il suo sguardo sadico. Mi afferra i capelli e mi fa muovere finché non sono in ginocchio davanti a lui, il mio viso all'altezza del suo inguine.
Lascia la presa dai miei capelli e si sposta, dopo avermi ordinato di non muovermi. Io però non riesco, il terriccio sotto le mie ginocchia me le fa dolere e cerco di mettermi in una posizione meno scomoda.
Con due falcate è di nuovo su di me, mi afferra per i capelli e mi trascina fino alla parete della stanza, continua a ripetere che me lo aveva detto che non dovevo muovermi. Mi tira su di peso, mi rendo conto di non avere più controllo del mio corpo, che lui muove a suo piacimento, con facilità, come se non pesassi nulla.
Mi fa poggiare le mani sulla parete, le braccia tese: il mio corpo è piegato a novanta gradi. Mi toglie i pantaloni e tira su i bordi delle mutande, in modo da scoprire le natiche. Senza avere il tempo di capire, comincia a colpirmi con le mani nude. I suoi schiaffi pesanti mi fanno urlare. Sento la pelle che inizia a bruciare. Mi colpisce, cinque, sette, dieci volte. Si ferma e io non oso più muovermi. Si è di nuovo allontanato. Ho le guance rigate di lacrime.
Mi afferra di nuovo per i capelli, questa volta però cammino con le mie gambe, inciampando nei pantaloni incastrati alle caviglie, ma non cado. Mi riporta nello stesso punto di prima, e mi fa inginocchiare di nuovo e questa volta sento i sassolini del terriccio che penetrano la pelle delle mie ginocchia, ma ormai ho capito che è meglio non muoversi.
Mi ordina di slacciargli i pantaloni e di tirare fuori il suo sesso, che è duro e pulsante. Si china su di me, mi prende i polsi e me li lega dietro la schiena. Sento il suo pene poggiare sulla spalla e lo sento caldo attraverso la maglia. Si tira su, con una mano mi prende per i capelli e con l'altra preme sulle mie guance per farmi aprire la bocca. Guida la mia testa alla sua erezione che infila dentro la mia bocca. Comincia a muovermi e a muoversi, sento il suo sapore forte, il suo odore di resina. Il suo pene enorme mi arriva fino in gola, a stento trattengo dei conati, mi sento soffocare.
Lui non smette, aumenta il ritmo per il suo piacere, che è il suo unico scopo, mi sta usando, consapevolmente, sta usando il mio corpo per la sua voglia. Capisco che è inutile fare resistenza, mi dolgono i muscoli del collo e la mascella, ho problemi a respirare, un rivolo di saliva mi scende lungo il mento, allora comincio ad assecondarlo, ascolto il suo ritmo e mi muovo alla velocità che m'impongono le sue mani. Dopo lunghi e interminabili minuti, sento che gode e il suo liquido invade la mia gola.
Si allontana di nuovo, io mi accascio a terra, in posizione fetale. Lui si avvicina, si stende vicino a me e mi avvolge con il suo corpo tutto, mi contiene. Mi riprometto di non piangere, questa tenerezza mi fa più male delle sculacciate.
Lentamente, la sua mano comincia ad accarezzare le mie gambe ancora nude, prima all'esterno e poi all'interno, sempre più in alto, sempre più insistentemente. Carezze pesanti che si insinuano tra le mie gambe, sotto le mutande. Con le dita afferra il mio clitoride e comincia a masturbarmi con movimenti circolari che velocizza man mano che i miei gemiti aumentano. Infila poi due dita nella vagina fradicia con l'altra mano e mi fa godere come mai ho goduto nella mia vita. E mentre godo mi dice "voglio che sei mia per sempre".
Restiamo a lungo sdraiati, tanto da intorpidirci.
Mi spiega, con la sua voce profonda e roca, cosa vuole da me: mi vuole fare la sua schiava, vuole che io obbedisca a tutti i suoi ordini e non solo sessuali, vuole che io sia devota a lui e solo a lui per sempre. In cambio lui mi proteggerà, mi darà sicurezza, si prenderà cura di me per sempre. Se deciderò di farlo, di sottomettermi a lui, di accettarlo come mio Padrone, basterà che mi presenti al prossimo appuntamento. Io non ho parole da dire, ma ascolto le sue con avidità: mi affascina, nonostante il dolore che ho provato, e forse anche per quello.
Mi ero ripromessa di non incontrarlo mai più. Dopo quello che era successo nella casa diroccata, tutte le sevizie che avevo subito... ma anche l'eccitazione che la paura di lui mi aveva dato e il godimento di averlo dentro di me e il modo in cui lui si era preso cura di me, dopo... Non avevo fatto altro che pensarci, da quel giorno, alternando sensazioni ed emozioni contrastanti.
Ora sono in questo parcheggio che lo aspetto. Mi ha inviato un semplice sms, con una data, un luogo e un orario: non gli ho risposto e lui non ha insistito. Forse era sicuro che mi sarei presentata. Infatti sono qui. Arriva col suo furgoncino scassato e si parcheggia vicino alla mia auto. Fa scattare la serratura dello sportello e lo apre. Non dice nulla, ma mi guarda e mi sorride. Sembra un bambino che ha visto una caramella gigante. Io non sorrido, non ci riesco. Sento le gambe molli che, mio malgrado, si muovono. Salgo, partiamo.
Di nuovo il rito della sigaretta. Non so se è una mia impressione, ma la sua voce che mi chiede di accenderla e passarla mi sembra più autoritaria dell'altra volta. Come se mi avesse dato un ordine. Guida veloce e silenzioso. Riconosco subito la strada. Stiamo tornando nello stesso posto. Mi sento rigida, non riesco a rilassarmi e continuo a chiedermi perché ho deciso di venire al suo appuntamento.
Appena arrivati lui scende dall'auto e apre la mia portiera. Io non mi muovo. Con un gesto deciso mi prende per il braccio e mi fa scendere. Il suo sguardo è già diverso e io ho paura. Mi trascina dentro stringendo forte il mio braccio, che inizia a dolere. Con un gesto ampio, mi spinge e io cado seduta in terra.
Lui resta in piedi davanti a me, con le gambe leggermente divaricate, è immobile. Ho il cuore che batte fortissimo e il fiato corto, so che mi sta guardando, ma io tengo gli occhi bassi, non oso guardarlo, ho il terrore di incontrare il suo sguardo sadico. Mi afferra i capelli e mi fa muovere finché non sono in ginocchio davanti a lui, il mio viso all'altezza del suo inguine.
Lascia la presa dai miei capelli e si sposta, dopo avermi ordinato di non muovermi. Io però non riesco, il terriccio sotto le mie ginocchia me le fa dolere e cerco di mettermi in una posizione meno scomoda.
Con due falcate è di nuovo su di me, mi afferra per i capelli e mi trascina fino alla parete della stanza, continua a ripetere che me lo aveva detto che non dovevo muovermi. Mi tira su di peso, mi rendo conto di non avere più controllo del mio corpo, che lui muove a suo piacimento, con facilità, come se non pesassi nulla.
Mi fa poggiare le mani sulla parete, le braccia tese: il mio corpo è piegato a novanta gradi. Mi toglie i pantaloni e tira su i bordi delle mutande, in modo da scoprire le natiche. Senza avere il tempo di capire, comincia a colpirmi con le mani nude. I suoi schiaffi pesanti mi fanno urlare. Sento la pelle che inizia a bruciare. Mi colpisce, cinque, sette, dieci volte. Si ferma e io non oso più muovermi. Si è di nuovo allontanato. Ho le guance rigate di lacrime.
Mi afferra di nuovo per i capelli, questa volta però cammino con le mie gambe, inciampando nei pantaloni incastrati alle caviglie, ma non cado. Mi riporta nello stesso punto di prima, e mi fa inginocchiare di nuovo e questa volta sento i sassolini del terriccio che penetrano la pelle delle mie ginocchia, ma ormai ho capito che è meglio non muoversi.
Mi ordina di slacciargli i pantaloni e di tirare fuori il suo sesso, che è duro e pulsante. Si china su di me, mi prende i polsi e me li lega dietro la schiena. Sento il suo pene poggiare sulla spalla e lo sento caldo attraverso la maglia. Si tira su, con una mano mi prende per i capelli e con l'altra preme sulle mie guance per farmi aprire la bocca. Guida la mia testa alla sua erezione che infila dentro la mia bocca. Comincia a muovermi e a muoversi, sento il suo sapore forte, il suo odore di resina. Il suo pene enorme mi arriva fino in gola, a stento trattengo dei conati, mi sento soffocare.
Lui non smette, aumenta il ritmo per il suo piacere, che è il suo unico scopo, mi sta usando, consapevolmente, sta usando il mio corpo per la sua voglia. Capisco che è inutile fare resistenza, mi dolgono i muscoli del collo e la mascella, ho problemi a respirare, un rivolo di saliva mi scende lungo il mento, allora comincio ad assecondarlo, ascolto il suo ritmo e mi muovo alla velocità che m'impongono le sue mani. Dopo lunghi e interminabili minuti, sento che gode e il suo liquido invade la mia gola.
Si allontana di nuovo, io mi accascio a terra, in posizione fetale. Lui si avvicina, si stende vicino a me e mi avvolge con il suo corpo tutto, mi contiene. Mi riprometto di non piangere, questa tenerezza mi fa più male delle sculacciate.
Lentamente, la sua mano comincia ad accarezzare le mie gambe ancora nude, prima all'esterno e poi all'interno, sempre più in alto, sempre più insistentemente. Carezze pesanti che si insinuano tra le mie gambe, sotto le mutande. Con le dita afferra il mio clitoride e comincia a masturbarmi con movimenti circolari che velocizza man mano che i miei gemiti aumentano. Infila poi due dita nella vagina fradicia con l'altra mano e mi fa godere come mai ho goduto nella mia vita. E mentre godo mi dice "voglio che sei mia per sempre".
Restiamo a lungo sdraiati, tanto da intorpidirci.
Mi spiega, con la sua voce profonda e roca, cosa vuole da me: mi vuole fare la sua schiava, vuole che io obbedisca a tutti i suoi ordini e non solo sessuali, vuole che io sia devota a lui e solo a lui per sempre. In cambio lui mi proteggerà, mi darà sicurezza, si prenderà cura di me per sempre. Se deciderò di farlo, di sottomettermi a lui, di accettarlo come mio Padrone, basterà che mi presenti al prossimo appuntamento. Io non ho parole da dire, ma ascolto le sue con avidità: mi affascina, nonostante il dolore che ho provato, e forse anche per quello.
venerdì 27 giugno 2014
La prima e l'ultima volta
Un racconto di Pulcina70
Siamo seduti vicini davanti al computer. Io manovro il mouse e la tastiera, lui siede accanto a me. Stiamo navigando su internet alla ricerca delle informazioni che gli servono.
Sento che si avvicina sempre di più, la sua spalla sinistra sfiora la mia spalla destra. Poi appoggia la sua mano sul mio ginocchio, una presa leggera, per testare la mia reazione.
Io non reagisco, continuo a fare quello che sto facendo. Lui appesantisce la mano. Con lentezza muove le dita a salire verso la mia coscia. Ho un brivido che altera il tono con cui sto parlando, ma non dico niente e non faccio niente per fermarlo. La sua mano sale sempre di più e scivola nella parte interna della coscia. Io giro la testa verso di lui, lui si gira a guardarmi: i suoi occhi sono torbidi di desiderio.
Toglie la mano e la porta sopra la mia, quella che tiene il mouse. La prende con delicatezza e la porta sotto la scrivania, la guida fino al cavallo dei suoi pantaloni, la poggia sopra e la spinge. Sento la sua erezione che cresce sotto la mia mano.
La muove piano, continuiamo a guardarci, i respiri leggermente alterati.
"Abbiamo bisogno di un altro posto per fare questo tipo di ricerche", non riconosco la mia voce che dice una cosa del genere.
Lui sorride, mi lascia la mano, che faccio riemergere sopra la scrivania.
Usciamo, in silenzio e ci avviamo verso la sua macchina. Sale e mi apre lo sportello, salgo anche io. Avvia il motore e parte, non oso chiedergli dove ha intenzione di andare.
Prende la statale, "Mi accendi una sigaretta?" lo faccio e gliela porgo, poi ne accendo una anche per me.
Superiamo il semaforo dell'autostrada e lui continua. All'altezza della rotatoria del centro commerciale, imbocca la strada verso il mare. Entra in un sentiero sterrato e poi si ferma vicino a un casale abbandonato in mezzo a una grande distesa di terra incolta. Spegne il motore e scende, lo seguo. Allunga la mano per prendere la mia e mi porta dentro il casale.
L'interno è buio e abbandonato, i muri sono scrostati, il pavimento, rotto in più punti, è pieno di terra, la sento sotto le scarpe.
Si gira e mi guarda, lo stesso sguardo di prima, torbido, gli occhi stretti, la bocca leggermente aperta come se facesse fatica a respirare. Mi tira a sé, mi circonda la vita con le braccia, si china e mi bacia.
Subito cerca la mia lingua, mi bacia con foga, come se dovesse finire tutto in un attimo, come se fosse l'ultima cosa che potrà fare, l'unica possibilità. Io lo assecondo: gli concedo la mia bocca, pronta a concedergli tutto quello che vorrà, sono totalmente persa.
Mi toglie il cappotto, mi sfila il maglione e poggia le mani sui miei seni sopra al reggiseno. Stringe con forza. Con il dito fa uscire prima uno e poi l'altro dei miei seni dalle coppe del reggiseno, si allontana di un passo per guardarmi.
Io resto immobile, inerme, aspetto che faccia quello che vuole. Si china e tira giù la cerniera degli stivali, piega una gamba per togliermene uno, poi l'altra. Sale con le mani fino a trovare la chiusura dei pantaloni, li slaccia e li tira giù. Mi muovo per toglierli, lui mi aiuta.
Sono in piedi, di fronte a lui, in reggiseno e mutande, i seni fuori dalle coppe e lui mi guarda, i suoi occhi sono come infuocati.
Prende le mie mani, le unisce e mi afferra i polsi con una sola mano; mi tira e mi trascina vicino al muro. Alza le mie braccia e mi lega i polsi a una corda che pende da un trave del soffitto. I miei piedi sono ancora poggiati a terra. Si sposta per contemplarmi di nuovo e sul suo viso affiora un sorriso che mai gli ho visto, un sorriso soddisfatto, cinico, sadico. Il mio cuore comincia ad accelerare i battiti.
Si toglie la giacca, la felpa e la maglietta, rimanendo a torso nudo. Contemplo il suo torace scolpito, dispiaciuta di non poterlo toccare.
Si avvicina e mi bacia. "Questo non lo dimenticherai mai."
Con la mano aperta mi carezza il collo, scendendo verso i seni, il ventre, il monte di Venere, le cosce, le gambe, i piedi. Mi sfila i calzini. Risale con i polpastrelli dal piede fino a tornare al collo. Fa questo cinque, dieci volte. Comincio ad ansimare, voglio di più e lui lo sa e farmi aspettare gli piace.
Afferra i seni con le mani e stringe, sempre più forte, io gemo sempre più forte fino a urlare, persa tra il dolore e il piacere.
Si stacca da me e si allontana, vedo che è andato di lato e si è chinato a terra. Non riesco a parlare, a chiedergli niente. Si rialza e torna verso di me. In mano ha qualcosa che non riesco a capire. Quando è vicino mi rendo conto che ha preso una corda, di quelle spesse, da imbarcazione.
Con un filo di voce gli chiedo "Cosa vuoi fare?"
Non mi risponde, ma mi guarda e di nuovo mi sorride in quel modo che mi fa paura. Alza il braccio e sferra un colpo secco sui miei seni, imprigionati nelle coppe del reggiseno, scoperti e fermi, bersaglio facile da colpire.
Urlo, il dolore è forte. Sferra un altro colpo. Urlo ancora. Di nuovo mi colpisce e si ferma come ad ascoltare l'eco del mio urlo che si smorza dentro la stanza. Poi, una serie di frustate di seguito, una dietro l'altra, senza neanche avere il tempo di respirare. Il dolore è forte, le mie urla mi riempiono le orecchie.
Si ferma, ansimante, l'espressione soddisfatta. I seni mi bruciano, mi sento quasi svenire. Si avvicina e mi accarezza, coccola i miei seni arrossati per i colpi ricevuti. Li lecca, prende in bocca i capezzoli e li stuzzica con la lingua.
Con una mano mi carezza le cosce in circolo, poi alza l'orlo delle mutande fino a scoprire le natiche. Si stacca di colpo e con la corda mi frusta le natiche e le cosce. Di nuovo le mie urla riempiono la stanza.
Si ferma e mi guarda ancora. Io sono stravolta, ho le guance striate di lacrime, il respiro affannato, gli occhi sbarrati dalla paura.
Lui sembra soddisfatto di quello che vede, si lecca il labbro superiore. Si avvicina, mi prende i capelli e li tira fino a farmi piegare la testa.
Mi lecca il collo, si avvicina all'orecchio: "Questo è solo l'inizio. Mi piace il suono della tua voce quando ti faccio male."
Mi leva le mutande con un movimento secco e violento, poi prende una caviglia e la lega ad un'altra corda legata a sua volta a un peso di piombo e così fa anche con l'altra caviglia.
Mi ritrovo appesa, con le gambe divaricate e nuda.
Piega la corda che aveva già usato per farla più piccola e inizia a colpire il pube davanti, cambiando poi direzione per frustare direttamente la mia vagina, con velocità. Il dolore è tale che perdo i sensi.
Mi sta bagnando con dell'acqua, quando rinvengo. "Perché?"
"Non c'è un perché. E' così e basta. Da quando ti ho conosciuta ho avuto solo voglia di torturarti, di sentire le tue urla di dolore. Ora che sei sveglia, ti scopo. Sono veramente arrapato."
Senza darmi il tempo di replicare, afferra le mie gambe e mi penetra, a fondo.
Mio malgrado sono bagnata e il suo pene eretto è molto grande, lo sento molto dentro di me. Inizia con movimenti lenti, affondi lunghi, poi aumenta il ritmo, sempre più veloce.
Non sento più il dolore, anche se la vagina mi brucia per le ferite.
I suoi movimenti mi riempiono completamente, la velocità stimola i miei sensi, lo assecondo con il bacino e alla fine godiamo insieme.
Lui resta dentro, gli ultimi spasmi, mi accarezza la testa, mi bacia il collo con delicatezza.
"Ora ti slego." Esce da me e si stacca, mi sento svuotata, il mio corpo brucia, non solo per le frustate.
Mi slega le caviglie e poi i polsi. Io non riesco a tenermi in piedi e lui mi sorregge, abbracciandomi, mi contiene. E' tenero, dolce, non sembra lo stesso uomo che poco prima mi frustava, sadico.
Mi aiuta a vestirmi, io non ho la volontà di fare nulla, dipendo completamente da lui.
"Stai bene? Ce la fai a tornare a casa? "
Annuisco. Non so dove è finita la mia voce.
Seduti sulla sua macchina, sulla via del ritorno, mi dice "Immagino che questa sarà la prima e l'ultima volta."
Mi giro a guardarlo, mentre guida con calma, lui si gira per qualche secondo verso di me, il tempo di vedermi annuire di nuovo.
Pulcina 70
lunedì 25 novembre 2013
Gang Bang
Il marito di L. la trattava come una troia, anche davanti agli amici. A volte la dava in prestito ad amici e conoscenti, che potevano usarla come volevano, a patto di riportarla indietro in buone condizioni. Una sera il marito le annunciò una sorpresa.
L. fu condotta in un garage abbandonato e le furono messe ai polsi ed alle caviglie delle manette larghe, di cuoio nero, da bondage. Dopo qualche prova, le caviglie furono lasciate libere, mentre le manette dei polsi furono agganciate ad un paranco sospeso al soffitto. Il cavo del paranco fu tirato in modo che L. toccasse terra solo con la punta dei piedi.
Il primo a fottere L. fu il marito. La scopò a lungo, sostenendole il bacino con le mani. All'inizio, L. sollevò i piedi e li congiunse dietro di lui, quasi abbracciandolo. Poi rinunciò a quella posizione, troppo faticosa, e si lasciò sbattere dal cazzo del marito restando in piedi.
Il secondo uomo afferrò le caviglie di L. e se le mise sulle spalle prima di cominciare a scoparla. Il suo cazzo largo, che la penetrava a fondo, diventò il centro di gravità di L. Ad ogni colpo, L. sobbalzava come una bambola di pezza. L. ebbe un orgasmo quando l'uomo le infilò un dito nel sedere e le chiese: "Ti piace, troia?".
Il terzo uomo decise di fottere L. nel culo. Abbassò il paranco che le sosteneva i polsi in modo che L. fosse piegata a novanta gradi, con la testa leggermente più in basso delle anche. Poi si mise dietro di lei, infilò le sue gambe tra quelle di L., e le allargò fino alla larghezza giusta. Aprì con violenza le natiche di L., quasi volesse spaccarle, e l'ano di L. si tese sotto le luci forti del garage. L'uomo lo lubrificò velocemente con le dita bagnate di saliva, ma le fece male, soprattutto quando infilò tre dita dentro di lei e le fece vibrare. Poi l'uomo infilò il suo cazzo dentro di lei e cominciò a fotterla. Il cazzo era grosso, leggermente arcuato, e le faceva molto male. L'uomo si divertiva ad uscire, aspettare che l'ano di L. si richiudesse, ed a rientrare con violenza. Ogni volta, che il cazzo rientrava, il dolore per L. era quasi insopportabile. L. non chiese di smettere, ma si limitò a mugolare in silenzio.
Quando il terzo ebbe finito, L. aveva bisogno di orinare. Provò a chiedere educatamente di andare in bagno, ma la sua richiesta fu accolta da un coro di sghignazzate. Qualcuno trovò una vecchia bagnarola e gliela mise sotto. "Falla qui, troia" disse una voce. Le sghignazzate aumentarono. Il paranco venne tirato in modo che L. fosse di nuovo in piedi, con i piedi nella bagnarola. L. non era abituata a farla davanti a tutti, ma non resisteva più. Il getto dell'urina le bagnò le gambe, ed i piedi rimasero immersi nella sua stessa urina. La bagnarola fu messa via, ma qualcuno disse: "Dopo dovrai berla, troia".
Quella sera L. fu scopata da una decina di persone. Alcuni volti erano conosciuti (amici del marito), altri erano sconosciuti. Alcuni la scoparono in piedi, ma la maggior parte preferì abbassare il paranco, metterla a novanta gradi con le gambe molto larghe, e fotterla nella fica o nel culo. Diversi di quelli che la scoparono in fica la fecero mugolare di piacere, o gridare fino all'orgasmo. Sebbene L. fosse stata ben aperta dietro, quelli che la scopavano nel culo spesso la fecero mugolare di dolore.
Di solito, mentre qualcuno scopava L. da dietro, un altro uomo usava la sua bocca, le ordinava di ripulirgli il cazzo con la lingua, oppure le scopava la bocca, venendo nella sua gola. Un uomo si mise a pecorino davanti a lei, si allargò le natiche ed ordinò al L. di pulirgli il culo con la lingua. "Lecca bene, fino in fondo, troia". L. non vomitò davanti a quella richiesta: senza una parola, si limitò ad eseguire, con doviziosa precisione, finché l'uomo non fu soddisfatto . L. non sentiva neanche nausea, non sentiva i sapori forti dei cazzi che prendeva in bocca. Si limitava ad eseguire ciò che le veniva richiesto, senza lamentarsi. Rimase impassibile anche quando un uomo le pisciò sul viso, sugli occhi, sui capelli.
Quando tutti gli uomini furono soddisfatti, uno di loro prese la bagnarola con il suo piscio, e le ordinò di bere. L. cercò di eseguire come meglio poteva, anche se molto del piscio cadde dalla bagnarola su di lei, sulle sue spalle, sul suo seno.
L. amava suo marito, e considerò la gangbang di quella sera come un compito da eseguire per dimostrare il suo amore. Fu molto orgogliosa di aver eseguito tutto al meglio delle sue possibilità.
L. ha comunque dei limiti su cui è molto ferma: odia il dolore (niente frustate), non vuole avere a che fare con la merda (scatting) e non vuole far sesso con animali. A parte questo, L. accetta tutto. Ed a volte gode, anche.
Troia
Il ragazzo di L. la chiamava "troia". Non lo faceva solo quando erano eccitati e stavano facendo l'amore. Lo faceva sempre, anche davanti ad estranei. L. era giovane taciturna, alta e magra, dal sedere appena un pò grosso. L. sopportava in silenzio quelle umiliazioni. Non reagiva. In realtà provava piacere nell'essere umiliata.
Una sera, ad una festa tra amici, dopo aver bevuto un pò, il ragazzo di L. le ordinò di spogliarsi. Completamente. L. avvampò di rossore ed eseguì. I partecipanti alla festa restarono attoniti, in silenzio. Tutti gli occhi erano su di lei. Poi il ragazzo di L. prese un pennarello indelebile e cominciò a scrivere a grosse lettere sulla sua schiena. La parola era "Gran troia". I ragazzi delle festa si procurarono altri pennarelli indelebili e cominciarono a scrivere anche loro sulla pelle bianca di L. Le parole erano: "Troia, Gran Troia, Puttana". Anche le ragazze si unirono.
L. bruciava di vergogna, ma restava immobile. Sul suo monte di Venere, c'era una parola, "Troia", ed una freccia che indicava verso il basso, verso l'ingresso della sua vulva. Sulle sue natiche avevano scritto "Puttana", con delle frecce, una a destra ed una a sinistra, che puntavano verso la fessura al centro.
Qunado L. tornò a casa, piangendo, non riuscì a rimuovere completamente le scritte a pennarello indelebile. Solo ad attenuarle. La scritta "Gran troia" sulla sua schiena era irraggiugibile. Non poteva certo chiedere aiuto a sua madre.
Qualche giorno dopo, L. aveva una visita medica. Una visita di routine. Non pensò ad una scusa per rimandare, e si presentò alla visita. Il medico le ordinò di spogliarsi, e lei, dopo qualche esitazione, eseguì, con il viso rosso di vergogna. Quando il medico le appoggiò lo stetoscopio sulla schiena, vide la scritta "Gran Troia". Le chiese di slacciarsi il reggiseno per vedere meglio. Trovò le tracce, ancora visibili, delle scritte "Troia" e "puttana" sulle sue braccia. Altre scritte mal cancellate erano sui suoi seni. Il medico si eccitò visibilmnete mentre seguiva con le dita quelle scritte sulla pelle di L.
Il medico era un uomo anziano, con un viso ributtante. Disse ad L: "Si sfili gli slip e si metta piegata a 90 gradi sul lettino, troia". L. eseguì in silenzio e si piegò sul lettino. Quell'uomo le faceva schifo, ma la sua fica era un pò umida. Il medico smaneggiò a lungo col suo cazzo per farlo diventare duro, poi lo infilò dentro L. Lei restò immobile e lo lasciò fare. Non impiegò molto a venire. Gocce di sperma colavano dalla fica di L.
Il medico disse ad L. di restare immobile, poi prese il mercurocromo e scrisse sulla vita di L., appena sopra le natiche, le parole "Gran Troia". Sotto mise la sua sigla.
Poi il medico disse ad L:"Può andare, troia". Ma voglio che ritorni tra un mese per una visita di controllo. L. si rivestì ed uscì in fretta dallo studio, rossa di vergogna.
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giovedì 31 ottobre 2013
Ai limiti del bdsm. S. : schiava, puttana, cesso e vittima
S. svolge essenzialmente quattro funzioni per il suo padrone: servitrice, puttana (tutte le sue aperture sono disponibili al padrone e ai suoi ospiti), cesso (il padrone la usa come cesso per tutte le sue necessità corporali, e lei ne è orgogliosa) e vittima (il padrone la picchia con o senza motivo).
S. vive da sola, e raggiunge il padrone quando questi glielo ordina. S. non può toccarsi da sola: il suo corpo è di totale proprietà del padrone. Inevitabilmente, dopo essere stata anche per un mese senza toccarsi, S. si bagna in modo eccessivo quando il padrone la usa. Il padrone non perde occasione per far notare a S. quanto ella sia puttana per questo.
Il padrone offre in uso S. ai suoi ospiti per dimostrare che egli è totalmente padrone del suo corpo, al punto da poterlo cedere ad altri.
Infine, il padrone picchia S. (a volte anche selvaggiamente, a seconda dei suoi umori) per sottolineare la proprietà non solo della sua sessualità, ma anche del suo corpo.
venerdì 20 settembre 2013
Padrone
All’apparenza calmo e serio, non si fa notare. Basta la Sua presenza silenziosa a riempire la scena, come dentro a una stanza quando ci sono tante persone e si respira appena, e l’odore è uno solo a sovrastare gli altri. Non è alla ricerca di niente, si limita a d aspettare. A volte sorride per un attimo, gli occhi scuri che incendiano gli animi. Parla poco, a voce bassa, ma si capisce subito che non ama esser contraddetto, che è Lui a decidere, a condurre il gioco. E fa sul serio. Terribilmente sul serio. Non gli serve usare paroloni o frasi fatte. Suscita interesse per questo modo di fare singolare, in bilico tra il sarcastico e l’ironico. Conoscitore sopraffino dell’animo femminile, sonda l’anima di quelle che, spinte dalla semplice curiosità o semplicemente avvicinatesi per caso, si trovano a parlarGli. Gli ronzano intorno come api attratte dal Suo nettare prezioso. Gli cadono ai piedi. Tutte quelle che conosce, anche solo superficialmente, che siano troie da web oppure donne alla ricerca di soddisfazioni, ognuna di loro in un modo o nell’altro vengono irretite, come intrappolate in una tela argentata, incapaci di distogliere lo sguardo… attratte dal sapore e dall’odore di dominante che emana. Apparentemente serio ai loro occhi, severo e inflessibile anche appena conosciuto, non ha bisogno di loro. Cerca ben altro. Lui cerca la verità. Cerca la schiava totale, quella che riuscirà a sottomettersi completamente. Quella che saprà umiliare sé stessa e prostrarsi ai Suoi piedi, che Gli donerà corpo e anima. Perché è lei che si dona, che accetta le regole, dirà di si. Si a un uomo che nulla sconta, e che impiegherà tempo, e fatica, e energia per addestrarla al meglio, per educarla, innalzando paletti invisibili e invalicabili, mostrandole un passo alla volta la strada da percorrere, con calma e pazienza infinita, fino al momento in cui sarà pronta per esser cinta dal Suo collare. Questa cerca. Una su mille. Con le altre.. beh, con le altre ci gioca. Si diverte a eccitarle. Sorride bastardo mentre quelle si sciolgono come cera bollente. E divengono davvero bollenti dentro… Lo bramano. Diventano pazze quando ricevono attenzioni. Cercano di sovrastare le altre femmine che annusano come possibili rivali, giocano sporco fingendosi amiche mentre hanno il coltello pronto a colpire alla schiena. E sgomitano facendosi credere migliori di ciò che realmente sono. Maschere e mascheroni distrutti senza più dignità. Donne pronte a tutto pur di appartenerGli. Considerate da Lui a malapena, buone solo per riempire il tempo fra una sigaretta e l’altra. Ma sbagliano… chiedono l'impossibile a quell'uomo. Chiedono l'unica cosa che non dovrebbero nemmeno permettersi di pensare. Chiedono l'esclusiva. Padrone solo di loro, immaginandosi di poter essere l’unica schiava con le capacità di soddisfarLo. Senza nessun altra intorno. Chiedono di esser l'unica… Ma un uomo così, Signore e Padrone nell'anima e nel corpo, nato apposta per dominare, duro e sadico all'inverosimile ma con il cuore grande e generoso, giusto e magnanimo con chi lo merita, le scaccia. Smuove la mano come si scacciano appunto le mosche e le api. Lui… Lui cerca altro. Cerca la verità. Vuole quella che chiuda gli occhi, che si affidi totalmente. Che lo veneri e lo rispetti come si fa davanti a un dio. Quella capace di annullare il proprio io, di farsi distruggere e riedificare di nuovo, capace di diventare pasta morbida in quelle mani, ammaliata, demolita psicologicamente fino a non desiderare altro che servirLo adorante. Quella che sa dominare la gelosia, che lo segue camminandoGli un passo dietro, ne segue la scia, pronta a soddisfarlo venendo a sua volta soddisfatta. Che non teme il dolore, ma impara ad apprezzarlo pian piano. Che capisce la differenza che passa tra la soddisfazione immediata e sterile dei sensi e la bramosia della tensione portata allo stremo. Che gode a comando, permesso donatole dal Padrone a Sua discrezione. Cerca quella accucciata ai Suoi piedi, fremente per una carezza, occhi lucidi e sorriso meraviglioso quando si sente guardata. Lui vuole quella che sa volare. Vuole una kajira.
kajira
kajira. questo vuole da me. che sia la Sua kajira. senza tanti sogni, senza niente che più mi appartiene. devota e sottomessa, un passo avanti dall'essere schiava. consapevole delle regole ferree che scandiranno ogni momento della mia vita futura. da oggi ricomincerò a scrivere questo diario, costellato di sogni e di esperienza diretta. tutto vero. storie immaginate e storie accadute, in un vortice di coriandoli difficili da dipanare. ma che siano sogni o realtà.. è tutto nella mia mente. con il permesso del mio Signore adorato, Infernale Quinlan, che mi guida e si prende cura di me, controllando ogni mio gesto, conoscendo i desideri e ciò di cui realmente ho bisogno. ometto le maiuscole, non per errore ma per il fatto che solo quando parlo di Lui le uso.
martedì 2 luglio 2013
Amo il culo di Federica.
Amo il culo di Federica. E' bello trattare Federica come una cagnetta, lanciare il giornale perchè lei me lo riporti, farmi fare un pompino prima di colazione. E' bello averla sempre inginocchiata sotto il tavolo, tra le gambe della mia sedia. Federica è una brava cagnetta, silenziosa, ubbidiente, scrupolosa. Ma il suo culo .... è la prova dell'esistenza di Dio. Mi piace farla stare piegata a 90 gradi sulla mia scrivania, con le mutandine abbassate e il culo in fuori, per delle ore, mentre studio, telefono, guardo la tv. Le mie mani sono sempre su di lei, o dentro di lei, in quella fica stretta dall'odore dolce e salato insieme, o nel buchetto piu' stretto, che lei rilascia perchè la possa scavare meglio.
A volte, quando sono piu eccitato, la prendo per scoparle la fica, o per incularla. Lei solleva un pò il culo per favorirmi, ma non più di tanto. E' pigra, vuole che faccia tutto io. Se la sbatto con più forza, geme di piacere, dimena la testa ma non mi chiede mai nulla di più. Quando ho finito, avvicino il cazzo alla sua bocca perchè me lo ripulisca con la sua saliva. Questo lo fa con precisione, con dedizione: le piace sentire in bocca il cazzo del suo parone. In fondo mi vuole bene. Stasera la vestirò da ponygirl e la porterò ad un'esposizione. Federica ama essere esposta. Per lei ho preso un coda di veri peli di cavallo, con un butt plug in vetro molto grande. Sarà un piacere lubrificarla e riempirla con il butt plug. Federica odia il frustino, ma stasera ne ho comprato uno apposta per lei. Lo collaudo subito, lasciandole tre segni rossi sulle sue bellissime natiche rosate. Sugli occhi di Federica spuntano dei lucciconi, e mi dice che sono un sadico pervertito. Ma mi ama.
Alcuni ospiti cominciano ad arrivare. Federica mi sussurra nell'orecchio che deve pisciare. Le ordino di farla in un bacile bianco preso da uno dei bagni. Lei diventa rossa, mi sussurra: "Sei un porco" e si accoscia sul bacile. La amo quando fa così. Un uomo mi chiede di usare la sua bocca, ed io, ovviamente, acconsento. Quando Federica si avvicina a noi, con l'espressione imbronciata, le faccio segno che deve soddisfare l'uomo. L'uomo, un orrido sessantenne dal viso butterato, non sta nella pelle. Federica si inginocchia davanti all'uomo e, guardandomi con sdegno, estrae il suo cazzo e lo succhia ...
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