domenica 24 luglio 2011

I turbamenti di Suor V.


Suor V. ripensava a tutto questo mentre scriveva il suo diario, nottetempo, nel buio della sua cella. Solo la luce della luna, attraverso le grate della finestra, le permetteva di scorgere ciò che scriveva. Mentre scriveva, Suor V. cominciò a piangere. Piangeva per la lontananza di quell'uomo che aveva osato amare, sfidando le rigide regole del convento, sfidando le regole della Chiesa. Di lui le restava solo un piccolo fazzoletto di seta, impregnato dell'odore forte e speziato del suo seme. Un odore che lei aveva imparato ad a amare. Suor V. mise  ancora una volta quel fazzoletto sotto il suo viso, impregnandolo di lacrime.  E cominciò a toccarsi, gemendo. Ripensando al piacere che quell'uomo le aveva saputo dare.

Era cominciato tutto diversi anni fa, quando V.  era solo una novizia. Stephen, un umile giardiniere che lavorava nel convento, un giorno le aveva donato furtivamente  una rosa. Solo un bocciolo, un piccolo bocciolo di colore rosso vivo,  ancora non schiuso. V. accettò. Forse fu quello il suo errore. Spesso, sempre piu' spesso, vide gli occhi di quell'uomo taciturno fissi su di lei. V. capì quanto quell'uomo soffriva per lei. Quanto quell'uomo la desiderava. Forse fu per quello che un giorno, quando si incontrarono nella complice oscurità dei corridoi del convento, V. lasciò che quell'uomo le accarezzasse il viso. Qualche giorno dopo, V. si lasciò baciare da lui.

Sempre piu' spesso, V. e il giardiniere si incontravano, come per caso, in angoli poco frequentati del convento. Presto V. lasciò che Stephen, ardente di desiderio, toccasse tutto il suo corpo sotto la tonaca. V. temeva ed amava quegli incontri ... i suoi occhi verdi si dilatavano per il piacere mentre l'uomo la baciava stringendole i capezzoli duri sotto la tonaca. E poi le sue mani ... le sue mani presero a spingersi nei suoi punti più intimi. A tormentare la sottile peluria bruna del suo sesso. Ogni volta V. resisteva, fuggiva dopo qualche attimo. Con il viso rosso, con il cuore che batteva forte, con il sesso caldo e pulsante. V. capiva quanto quell'uomo la amava, quanto la desiderava, quanto aveva bisogno di lei ...

Una sera, mentre V. pregava inginocchiata nella solitudine dell'oratorio, il giardiniere la baciò a lungo, poi offrì il suo sesso duro e gonfio di desiderio alla sua bocca. V. lo accettò, riluttante. Poi godette con lui. E godette di lui. Imparò ad amare il sapore dolce e selvatico del suo sperma. Stephen ricambiò il dono, distendosi sotto le gambe di V., con il viso sotto il suo sesso, caldo e bagnato. La lingua dell'uomo le procurò piaceri immensi mentre, inginocchiata su di lui, V. recitava le sue preghiere. Chi fosse entrato nel silenzio dell'oratorio avrebbe colto subito nella voce di V., mentre recitava quelle  parole ormai imparate a memoria, le esitazioni, le incrinature, provocate dal piacere che l'uomo le stava dando con la sua bocca, sotto la sua tonaca.

V. era di giorno in giorno più tormentata, presa in un vortice di amore per quell'uomo, di odio per sè stessa, e di desiderio. Sì, desiderio. Puro e semplice desiderio animale. Il sesso di V. si bagnava, le gambe le tremavano, anche solo a pensare a quell'uomo che lei ormai amava.

V. sapeva che presto Stephen, il giardiniere, le avrebbe chiesto il suo dono più grande: la verginità. E lei non avrebbe potuto rifiutarsi. V. si toccava spesso da sola, di notte, nel chiuso della cella, pensando a quel momento. Fu una di quelle notti che V. notò il viso del giardiniere che la guardava dalla finestrella alta della sua cella. V. si smarrì, ma solo per un attimo. Poi si spogliò completamente, e cominciò a toccarsi languidamente tutto il corpo, ad accarezzarsi, mentre lui la guardava con gli occhi colmi di desiderio. V. aprì lascivamente le gambe, offrendo il suo sesso roseo e bagnato alla vista dell'uomo che amava. L'uomo gemette di piacere, e poco dopo le lanciò attraverso la finestrella un fazzolettino di seta intriso del suo sperma. V. raccolse il fazzolettino, se lo portò alla bocca, lo baciò e venne agitando selvaggiamente i suoi fianchi davanti a lui.


(continua)






7 commenti:

  1. la religione è un'invenzione umana, uno strumento per manipolare i sensi di colpa, veri o presunti... tutti noi compiamo delle scelte, ci imponiamo delle priorità... cerchiamo di non fare del male agli altri, cosa piuttosto ardua visto che si verifica continuamente...

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  2. Sono completamente d'accordo, anche se in realtà questo post non parla di religione ... ;-)
    p.s. mi piacciono molto le donne che si pongono spesso problemi di etica e di religione.

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  3. Mi piace questo racconto, mette in evidenza ciò che i bigotti religiosi cercherebbero di celare in tutti i modi. Gli uomini e le donne di chiesa, sono pur sempre uomini e donne, con passioni, desideri, voglie.

    Nella commedia "Aggiungi un posto a tavola", con Johnny Dorelli, c'è una parte in cui "La voce di lassù" dice: ma siamo impazziti? ma come? io invento un modo per procreare che, modestia a parte, è una delle cose meglio riuscite e poi ne vieto l'uso proprio ai miei "collaboratori" diretti?".
    E in effetti... xD

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  4. sul serio? Non vorrai mica sedurmi!?
    Se sei interessato all'arte con tutte le sue sfumature possibili, ti propongo un link che potrebbe interessarti, è:

    terraevenere.blogspot.com

    dagli un'occhiata e poi fammi sapere, ne?

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  5. @fabrax ... è un blog molto carino, con temi interessanti e molto curato graficamente ... mi piace molto questo tipo di blog.
    p.s. è carina anche la suggeritrice, un'eterna ragazzina spettinata ... ;-)

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  6. @ Slave Misa ... sono d'accordo: per me la castità imposta da molte religioni (ma non tutte) è solo uno strumento repressivo.
    Comunque in realtà questo post non tratta di religione ... ;-)

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  7. Si si, l'avevo notato, ma mi ha comunque spinto a questa riflessione. =)

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