giovedì 23 settembre 2010

L’addestramento di F.: la bocca



F. amava essere la mia schiava. Amava restare in attesa, inginocchiata, con gli occhi chiusi, la bocca socchiusa, in attesa che io la usassi. All'inizio, per abituarla meglio, la tenevo bendata. Mi avvicinavo a lei, col sesso semieretto, e le ordinavo di leccarlo. F. sporgeva la lingua (le avevo vietato di usare le  mani) in cerca della mia pelle, poi cominciava a leccarmi con dedizione.

 




 

Sfiorandola con le mani, io le davo il ritmo del mio desiderio, ora più veloce, ora più lento. Le chiedevo ora di salire, ora di scendere, lungo l'asta del mio fallo. F. era instancabile. La sua lingua aveva imparato a conoscere tutte le sfumature del sapore del mio sesso. Il sapore salato della pelle sui testicoli, il sapore forte, a volte aspro, del glande; il sapore delle prime  gocce di liquido trasparente che si formavano sulla punta del mio sesso quando cominciavo a eccitarmi.

 




Quando ero soddisfatto della lingua di F., penetravo la sua bocca, usandola senza ritegno, senza darle respiro, solo per prendere il mio piacere. F. si eccitava molto quando la usavo, ma raramente le concedevo di avere un orgasmo. Avevo vietato ad F. di toccarsi, anche quando era sola. Le avevo insegnato ad annullarsi completamente, per concentrarsi unicamente sul mio piacere.

 

 



Quando il mio fallo riempiva la bocca di F., lei gemeva di piacere, ed il suo sesso si bagnava fino a colare. Io guidavo i suoi movimenti stringendole i capelli sulla nuca. F.  mi succhiava con passione: faceva scorrere dolcemente le labbra sulla corona morbida del mio glande, poi ingoiava tutta l'asta, avidamente. La sua saliva colava sul suo mento, verso i suoi bellissimi seni.


F. godeva molto nel lasciarmi usare la sua bocca come se fosse la sua vagina. Ma potevo sentire con le mie dita il suo vero sesso bagnato, aperto, affamato di piacere. Il suo clitoride sporgeva, sembrava vibrare sotto le mie dita.

 

 









Quando raggiungevo il limite del piacere, cominciavo a spingere il mio fallo fin nella gola di F., facendole ingoiare tutta la mia asta. Le mie mani stringevano la sua nuca,   per spingere meglio, fino a che il mio sperma caldo non le riempiva la gola. Lei lo accoglieva gemendo: il mio piacere era il suo piacere.


Poi F. restava in attesa che io la usassi di nuovo, oppure che  le dessi il permesso di toccarsi da sola, e avere un orgasmo, prima di andare via. Ma spesso ambedue questi piaceri le erano negati. Mi piaceva portare F. al limite dell'orgasmo, ma negarle questo sfogo. F. mi aveva dato questo potere, quando aveva accettato di essere la mia schiava.  Ed io amavo essere il suo padrone. L'unico che poteva decidere come e quando avrebbe goduto.

 


 



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